Questo è un post che da tanto volevo scrivere e oggi, in tempo di ricorrenze legate ai morti, nella sezione Buone Relazioni scrivo di lutto. Preciso che non intendo qui dare prescrizioni terapeutiche.
La domanda a cui tento di rispondere, esplorando l’universo della perdita, è :
“Come essere d’appoggio, nell’immediato, a chi sta affrontando la perdita dolorosa e recente di qualcuno che ha amato profondamente?”
Spesso di fronte a questi eventi, soprattutto se non abbiamo esperienza diretta, ci troviamo senza parole, disarmati, incompetenti; non sappiamo cosa dire non sappiamo cosa fare.
Premessa doverosa: non è da tutti riuscire o desiderare di sostenere qualcuno nel dolore e non dobbiamo sentirci in dovere di farlo. Ma se ci troviamo nelle condizioni, per necessità o per desiderio, possiamo imparare a esprimere affetto e sostegno in maniera efficace: senza invadere o temere di ferire ulteriormente in questo momento così delicato, sempre rimanendo in contatto con il nostro sentire, per non caricarci del dolore altrui.
Innanzitutto parliamo della morte: la morte non è un problema – quindi non va trattata come tale; è qualcosa a cui tutti andiamo incontro prima o poi nella vita.
Che ci si voglia pensare o meno la morte è un fatto.
Non ha bisogno di essere risolta non ha bisogno di essere ridotta, non può essere contrastata, rimossa, nascosta, evitata; ne va solo preso atto.
La morte, come una nascita, attraversa prepotentemente le persone, le case, le famiglie.
Il primo soccorso va garantito sul piano pratico. Si può offrire di accompagnare negli obblighi burocratici, fino a fare la spesa o sbrigare le incombenze che per un po’ chi è in lutto non ha la testa per seguire.
Dal punto di vista emotivo, invece, quello che possiamo fare quando muore qualcuno è testimoniare il dolore di chi lo sta provando cioè essere presenti. Fa paura! E’ indiscutibile.
Ma il dolore c’è, non si può togliere, va vissuto; è una ferita che ha bisogno di tutta l’ attenzione e la cura della persona che lo attraversa.
Inizialmente il dolore della perdita può essere straziante, lacerante, sconvolgente a livello fisico e mentale. Poi si acquieta, per deflagrare nuovamente e così per diverso tempo, a scossoni altalenanti. Ci si contorce nel dolore, ci si annulla, si può credere di perdersi e morire di dolore.
Chi lo attraversa ha diritto di viverlo il più serenamente possibile, in tutte le sue manifestazioni, che possono comprendere: rabbia, tristezza, rancore, confusione, e, scostando qualche tabù, anche tratti di euforia, estraneità, distacco, senso di liberazione e di sollievo. Si può essere fisicamente stremati e apatici, come al contrario estremamente energici, quasi a sentire di volere spostare una montagna.
In questi momenti si può sperimentare sia un bisogno estremo di compagnia, che un desiderio di solitudine, di totale ritiro dalle relazioni consuete, e chi si ritira lo fa per proteggere se stesso.
Tutti questi stati si possono alternare, in un saliscendi di emozioni che non si può controllare e non si deve giudicare come qualcosa di giusto o sbagliato. Pensiamo come ogni evento porti con sé aspetti ambivalenti e mutevoli; la morte li amplifica e ci mette nella condizione di sentirli ed esprimerli.
Nell’atto consolatorio, le azioni più utili sono il silenzio e la presenza fisica per lasciare che sia la persona addolorata ad esprimersi, e possa sentire un sostegno tangibile.
Nessuna parola (tranne forse: “sono qui”) può aiutare veramente quanto il silenzio, perché ognuno di noi ha dentro di sé tutte le risposte e il suo modo di reagire è il migliore che conosca.
Ecco un piccolo elenco di atteggiamenti che aiutano:
- sospendere il giudizio
- non suggerire come si deve sentire chi soffre, aspettare che lo dica
- non cercare di consolare spiegando cosa pensiamo ci sia dopo la morte, ognuno ha le sue credenze (ora è un angelo, ora sta bene, ora ci guarda) noi non sappiamo quello che c’è dopo la morte e ognuno di noi ha diritto di pensare quello che crede quindi non cercare di sostituire il proprio punto di vista a quello di chi soffre, ora.
- Anche se abbiamo perso una persona cara, non dire che capiamo; ancora una volta, l’esperienza, in questo momento è la sua, non la nostra. Forse potremo condividere anche il nostro dolore in un secondo tempo.
- rispettare il dolore, lasciare che faccia il suo tempo: evitare di dire che passerà presto perché chi soffre non vuole che il tempo passi. Il tempo distanzia dalla persona che se ne è andata e il dolore è come un mezzo per sentirla fisicamente vicina. Col tempo il dolore si trasformerà.
Vivere pienamente il momento del lutto, permette:
- di integrarlo come passaggio della vita senza cristallizzarne alcuni aspetti
- di trasformare la relazione col defunto
- di ricominciare a vivere pienamente: quando la vita riprenderà il suo corso è importante osservare che la perita non diventi il perno su cui si agisce o non agisce nel mondo successivamente.
Se dopo almeno un anno ci si rende conto di essere aggrappati al lutto in maniera invalidante ( idealizzazione del defunto, incapacità di apportare cambiamenti, di fare progetti, di agire per sé) si può pensare di chiedere aiuto a uno specialista.
Se invece sentite solo il bisogno di condividere il lutto con qualcuno, potete cercare il gruppo AMA relativo al lutto (Auto Mutuo Aiuto) più vicino a voi, oppure scrivere a me, qui.
A presto!
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