Intesa come abilità a rispondere e non come il gravame cui tutti siamo sottoposti, è la capacità (che si può sviluppare) di confrontarsi con gli eventi della vita.
[dal latino: respondere: rispondere, composto di re indietro e spondere promettere, più il suffisso –bile che indica facoltà, possibilità]Questa è davvero una delle concezioni che stanno alla base della crescita dell’individuo e che voi la abbiate già incontrata o meno, è bene esplorarla e ricordarla ancora per porsi nei confronti di tutto ciò che ci accade con un atteggiamento attivo piuttosto che passivo e vittimistico.
Quante volte ci sentiamo oberati dalle responsabilità, quante volte ci siamo caricati di cose e di fatti che non ci riguardavano per un senso di responsabilità, quante volte vediamo soffrire qualcuno sotto il carico di pesi che non sono loro?
Per contro quanto spesso diamo la colpa di ciò che ci accade a fattori esterni alla nostra persona?
Questi sono due atteggiamenti che derivano da una idea disfunzionale di responsabilità.
Fin da bambini siamo avvolti e rinforzati in concetti come “la vita è in salita”,“la vita è sofferenza”, “ognuno ha i suoi fardelli da portare”..
Penso quando a mio figlio in prima elementare è stato detto di portare la cartella avanti e indietro da scuola tutti i giorni, “così si abituano per le medie”..!!!??
Dipende molto dalla cultura da cui proveniamo, basata su un senso del dovere e di colpa, che distorce, neutralizzando, la possibilità di interagire con le nostre esperienze rendendole più pesanti di quanto siano in effetti e non permettendoci così di sviluppare ed esercitare il nostro reale potere d’azione.
I “fardelli” nella vita ci sono. Ma se li guardiamo e chiamiamo in un modo diverso, questi iniziano a essere meno carichi e diventano delle esperienze che possiamo imparare ad accettare, per superarle, e magari provare gioia e soddisfazione nel farlo.
La radice etimologica di respons-abilità restituisce autostima e un senso di appartenenza alla propria vita.
Infatti, se di fronte ai problemi si tende a scappare, procrastinare o giustificarsi con frasi del tipo: “non lo sapevo”, “non ci riesco”, che noi affrontiamo le questioni o meno, in ogni caso ci saranno le conseguenze della nostra scelta o non scelta (che è sempre una scelta).
La responsabilità ha a che fare con il senso di passività o di attività rispetto agli eventi che ci accadono:
– noi possiamo subirli come qualcosa che non capiamo, qualcosa cui non abbiamo nulla a che fare e classificarli a priori come “ le sfighe della vita”.
– oppure possiamo decidere come comportarci, per dare un senso nuovo agli eventi, costruire il nostro personale senso della vita.
Anche rispetto agli eventi più dolorosi come malattie, lutti e incidenti, possiamo scegliere come sentirci e prenderci cura o meno di noi stessi, in modo da uscire arricchiti di quell’esperienza, piuttosto che compiangerci o aggrapparci a quel fatto come se diventasse il punto centrale della nostra esistenza.
In primo luogo dobbiamo distinguere ciò che ci accade, da ciò che abbiamo creato.
Per superare le nostre difficoltà dobbiamo prendere la parte che ci spetta nell’averle create.
Esempi di atteggiamento attivo:
Una malattia che “ci coglie” si affronta indagandola, chiedendosi se non ne siamo stati e non ne continuiamo a essere in qualche modo causa con i nostri comportamenti, e in secondo luogo curandoci in tutti i modi a disposizione.
Un lutto si attraversa, vivendo il dolore e ricordando la persona amata per ciò che era, cercando di non idealizzarla e senza aggrapparci alla sofferenza per gli anni a venire. Se ci accorgiamo che non viviamo più senza quella persona, dopo anni dalla sua morte, è il caso di parlarne con un terapeuta.
Se abbiamo un incidente, possiamo indagare che parte abbiamo avuto in esso, per imparare a essere più attenti.
Mandela, nei suoi 28 anni di prigionia aveva sviluppato questo atteggiamento: «La cella è il luogo ideale per imparare a conoscersi, per esplorare realisticamente e con regolarità i propri processi mentale ed emotivi»
Ma ci sono gli altri direte voi..come la mettiamo con gli altri?
Quante volte si sente dire che a causa degli altri noi siamo infelici: il marito, il collega, il capo, il figlio è sempre colpa di qualcun altro.
Una delle basi per lavorare su di sé é comprendere, profondamente, che gli altri centrano relativamente con la nostra felicità.
(Esclusi gli atti di violenza, che quando non possiamo prevenire perchè improvvisi e inaspettati, possiamo solo decidere come reagire successivamente rispetto al fatto.)
Per essere responsabili rispetto ai comportamenti degli altri, dobbiamo in primo luogo definire i limiti entro i quali essi non devono andare: sta a noi dire cosa per noi è giusto in modo che gli altri lo sappiano e ci possano rispettare.
A quel punto, se noi abbiamo espresso i nostri bisogni e questi non ci rispettano, sta a noi a lasciarli andare o cacciarli.
Questa è una modalità responsabile di agire nella relazione ovvero: io non sono tua vittima tu non mi puoi fare niente che io non voglia.
A quel punto, se l’altro continua a offenderci, è sua reponsabilità, non più nostra.
E tu quanto ti senti responsabile? Che senso dai a ciò che ti accade?
Ti piacerebbe riuscire a vivere con più serenità i fatti della vita?
Parliamone: Scrivimi qui.
E se approvi, condividi!
A presto!
Essere donna…essere madre….essere titolare di un attività. Questa è la mia vita . Queste sono le mie priorità. E a nessuna di queste voglio rinunciare. Il lavoro non mi spaventa e affronto a tenta alta ogni forma di autocritica. Viviamo un momento storico di profondo cambiamento che ci impone la fatica di saper essere oltre che organizzativi anche dei creativi….ma concedetevi chi meglio degli italiani ha questo meraviglioso talento?
Grazie Marcella. La penso come te:in questo momento storico abbiamo l’opportunità di un nuovo Rinascimento